Testo di ottima qualità per il rigore e il buon senso dell’autrice. Organico, preciso e circostanziato, corredato anche di un po’ di quei sanissimi numeri che nei testi dei colleghi mancano quasi sempre. Nessuna affermazione azzardata, anzi il testo è infinitamente utile proprio perché invece di inventarsi dal nulla, dandole per certe, teorie tutte da provare, mette in evidenza quello che ancora non sappiamo sulle formiche (spiegando anche il perché non lo sappiamo) e punta il dito su tutte quelle false conoscenze che in realtà sono solo frutto di preconcetti. In particolare, comincia distruggendo dalle fondamenta il concetto di “divisione del lavoro” applicato alle formiche come se i compiti di ogni formica le fossero attribuiti in modo innato (cambiano spesso mansione, invece, anche nei casi in cui esistono “caste” di dimensioni diverse nello stesso formicaio) e l’idea che le formiche (e gli altri animali a parte l’uomo ovviamente…!) siano guidate solo dall’istinto o comunque da reazioni sempre uguali agli stessi stimoli.
Visto che nella sezione “Primi passi” abbiamo iniziato una mini discussione in proposito, integro la recensione con un paio di esempi che mi sembra illustrino abbastanza bene il metodo di lavoro della Gordon e degli altri colleghi e, nel contempo, chiariscano meglio il perché di alcune mie affermazioni.
Il più stupefacente è sicuramente il contro-esperimento al famoso esperimento dell’acido oleico di Wilson e Holldobler in cui la Gordon dimostra che in realtà la conclusione potrebbe essere esattamente l’opposto di quella che avevano tratto i colleghi. Per chi non conoscesse l’esperimento (trovate il testo completo qui
http://psyche.entclub.org/65/65-108.html, ma se non ricordo male è riportato anche in “Formiche” di Wilson e Holldobler, ed. Adelphi) Wilson, Durlach e Roth dimostravano che le formiche (Pogonomyrmex badius in questo caso) reagiscono istintivamente a uno stimolo chimico solo perché guidate da una specie di “programma genetico” che vuole che reagiscano sempre nello stesso modo a uno stesso stimolo, anche quando quella reazione è irragionevole. E lo facevano nel modo seguente: prendevano pezzetti di carta e formiche vive e applicavano a tutti un acido grasso che emettono i cadaveri delle formiche, poi mettevano formiche vive e carta nel formicaio e le altre formiche prendevano tutto (comprese le compagne vive) e portavano via nel mucchio dei rifiuti credendo che si trattasse formiche morte. Detta così sembra che l’unico stimolo che prendono in considerazione le formiche sia l’odore di acido oleico. Ma le Pogonomyrmex della Gordon non si comportavano in quel modo, tanto che, scrivendo a Wilson della discrepanza, ha scoperto un’omissione che ha dell’incredibile (ammessa dallo stesso Wilson): le formiche trattate con acido oleico erano, sì, vive, ma immobili visto che le avevano raffreddate in modo che non riuscissero a muoversi. Ora, credo che chiunque di noi veda un animale immobile e che puzza di morto sarebbe ben lungi dal dedurre che è solo lo stimolo chimico della cadaverina sulle mie terminazioni nervose a innescare una reazione istintiva che mi fa ritenere che quell’animale sia morto. Se vedo che si alza e cammina, il dubbio mi viene. E infatti se la formica è stata raffreddata è perché doveva essere immobile affinché le altre la portassero via, altrimenti, evidentemente, malgrado l’odore di acido oleico, le compagne non avevano quella reazione così istintiva di considerarla morta comunque. Il testo di Wilson, Durlach e Roth, invece, non solo non accenna nemmeno al raffreddamento, ma lascia intendere abbastanza chiaramente che le formiche si muovevano.
Insomma, sembra che in molti casi il metodo normale sia partire da un preconcetto e cercare di dimostrarlo con “appositi” esperimenti, difendendo la posizione fino alla morte. La Gordon, invece, ha un approccio più rigoroso, tende a partire dall’osservazione e riempie il testo di tanti “forse”, “crediamo”, “non sappiamo” indubbiamente più onesti e più utili di tanti “sicuramente” che alla fine non sono supportati da dati convincenti.
Un altro brano interessante ed esemplificativo sulla divisione del lavoro ve lo traduco direttamente, così anche chi non mastica l’inglese può farsi un minimo di idea. La traduzione ve la metto a breve in un post separato in modo che non si possa confondere con i miei commenti.
Per chi invece l’inglese lo mastica, vi segnalo un bel sito dell’università di Stanford, dove lavora la Gordon, che riporta immediatamente leggibili in PDF diversi suoi articoli, anche più recenti rispetto al libro, che pure è del 2010. Li trovate qui
http://www.stanford.edu/~dmgordon/publications.htmlBuona lettura e fatemi avere i vostri commenti!