Diario di una colonia - Pheidole pallidula

Voglio illustrarvi la storia della mia colonia di Pheidole pallidula, la cui regina è stata trovata circa a fine luglio del 2011 da un utente del forum proveniente dall’Italia meridionale. Optai per la spedizione poiché pensavo che questa specie non fosse presente nel posto in cui vivo: ironia della sorte, il giorno stesso in cui il pacco arrivò, una colonna di Pheidole usciva niente popò di meno che dal gradino di casa mia.
Purtroppo non ho foto dei primi momenti della loro vita, poiché la regina mi è stata spedita con già quattro operaie. Verso la fine di agosto, un po’ per l’irrequietezza delle operaie, piccole ma energiche, e un po’ per la necessità di cambiare serbatoio d’acqua mi ha indotto ad aprire la provetta in un’arena abbastanza grande. Il primo errore che ho fatto è stato inserire qualche millimetro di terra e umidificarla: la piccola colonia, che aveva raggiunto una ventina di individui, si trasferì subito sotto terra, portando con sé uova e larve. Ho potuto però assistere ad una sessione di scavo durata circa quattro o cinque giorni, il tempo che la terra si asciugasse: un lungo cunicolo collegava due piccole stanze nelle quali erano contenute regina e prole. A settembre la colonia aveva raggiunto le 40 operaie, avendo a disposizione sempre del miele biologico ed offrendo loro una piccola camola quasi ogni giorno. La temperatura si aggirava sui 25°C, forse un po’ di più, visto il caldo torrido manifestatosi l’anno scorso.

Il primo soldato, appena più grande di un’operaia, nacque il 29 ottobre. Fungendo all’inizio esclusivamente da replete, cominciò pian piano a prendersi coraggio e ad attaccare le micro-camole che offrivo. La tecnica di caccia risultava ancora acerba: i soldati si limitavano ad aspettare che la preda venisse immobilizzata dalle più coraggiose operaie, per poi spezzarla in due con un colpo secco di mandibola. Il soldato sfarfallò con esattamente 43 operaie, ma durante la sua fase di pupa già altre due larve di soldato erano presenti nella covata: sfarfallarono rispettivamente il 5 e l’8 novembre. Le operaie continuavano a nascere, poiché decisi di far saltar loro l’ibernazione, un po’ per paura di sottoporle a temperature troppo rigide per questa specie, un po’ per la voglia di vederle crescere il più in fretta possibile.
A causa della loro frenetica voglia di colonizzare qualunque cosa fosse presente in arena, decisi di costruire un piccolo formicaio in gesso adatto alle esigenze di questa piccola ed evasiva specie. Ho optato per un formicaio “variante due” di dimensioni 8 x 8 cm. Ho deciso di mescolare però, in rapporto 1:1, gesso scagliola e cemento bianco, per renderlo più resistente ad eventuali lavori di scavo delle Pheidole. Esso non ha mai dato problemi con la formazione di cristalli, caratteristica tipica del cemento a contatto con l’umidità. Forse a causa della dimensione ridotta del formicaio?
Il 31 gennaio ho lasciato la possibilità di trasferirsi collegando la mia nuova creazione all’arena ed umidificando quest’ultimo: la provetta era infatti a corto d’acqua, ma le formiche non volevano trasferirsi in una nuova. La mattina seguente (e portando a 25°C una facciata del formicaio, poiché, essendo inverno, la temperatura di casa si aggirava sui 20°C) le operaie trascinavano la disidratata regina nel nuovo e umido nido, permettendomi di staccare l’arena ormai sudicia e successivamente accompagnando le operaie più patriottiche che sostavano ancora nella provetta verso la nuova casa.




Alla fine dell’inverno la colonia contava una numerosa prole (dove si potevano scorgere le pupe di altri soldati) e quattro soldati, ma le operaie erano diminuite: dalle 60 raggiunte divennero 30, lasciando la provetta praticamente vuota. Ho ipotizzato due cause per il seguente decesso, entrambe non legate a fattori esterni:
- la vita breve delle operaie delle prime generazioni, le quali non durano più di due o tre mesi;
- il metabolismo della colonia non si era fermato a causa del riscaldamento costante a cui la colonia stessa era sottoposta; (metabolismo più attivo = vita media più breve).
Una foto del 2 febbraio 2012:

A marzo la colonia risultava ancora debole e seppur il bisogno di proteine fosse evidente (vista l’abbondante presenza di larve) le operaie erano intimorite dalle camole, anche se esse erano morte. Esse, in numero minore, continuavano a morire una dopo l’altra. Decisi così di preparare una dieta Bakhtar super proteica, aggiungendo un bicchiere di latte e mettendo due uova al posto di una (gusci compresi): ne uscì un composto che si deteriorava in fretta, ma molto amato dalle formiche.



Ecco la Bahktar super proteica:

Non so se fu per la somministrazione di questa o per altri motivi, ma la colonia riprese a sfornare operaie e soldati come un tempo… Se non con frequenza maggiore! Ben presto il nido si popolò di guerrieri, più di quanti ne avessi ipotizzati: il rapporto 30 operaie : 1 soldato perse la sua validità, e ad aprile la colonia superò abbondantemente il centinaio di individui.






Aumentando di numero, l’arena integrata nel formicaio cominciava a non bastare: sempre più frequenti furono i casi di fuga. Fortunatamente tali casi furono isolati, poiché l’antifuga che tutt’ora uso è molto valido: si tratta dell’olio minerale in vendita su forumis.fr.
Il fabbisogno alimentare aumentava ovviamente con l’aumentare delle operaie, ed oltre al miele biologico (di acacia o di castagno) le Pheidole consumavano una camola della farina al giorno. Curioso notare come preferiscano mangiare in tranquillità nel nido, portandosi l’intera preda nelle camere, per poi dividerla a pezzi e mangiarne il contenuto; al contrario, la colonia di Crematogaster scutellaris preferisce spolpare la vittima direttamente in arena, senza effettivamente “rompere” la camola in pezzi. Proprio dal formicaio di questa specie, situato a fianco di quello della colonia protagonista, alla fine di aprile uscirono una decina di operaie a causa di un’asciugatura inaspettata dell’antifuga. Non molto astutamente, esse finirono nel nido delle Pheidole, dalle quali furono bloccate (non curanti dell’arma chimica delle Crematogaster) e successivamente decapitate.
Nel corso dell’allevamento ho notato due comportamenti interessanti.
Il primo riguarda la funzione di un solo soldato adibita esclusivamente a riserva di cibo costante. A causa della malformazione di un’antenna, ho potuto constatare che sempre lo stesso aspettava, all’entrata del nido, le operaie strepitanti, offrendo loro cibo dal gastro sociale sempre gonfio di cibo. In parecchi mesi di osservazione, egli rimase sempre all’interno del nido, senza quasi mai uscire (salvo per spostarsi da una facciata all’altra del formicaio), quasi fosse trattato come un “reale”. Curioso è il fatto che non sia stato mai sostituito! Mentre gli altri soldati svolgono i loro compiti primari, egli resta sempre all’interno del nido ad oziare: non è raro trovarlo accanto alla regina, la quale mendica un po’ di cibo dal suo addome sempre gonfio.

Il secondo comportamento riguarda invece la prole, che veniva spostata giornalmente (verso le ore più calde) in arena. Utilizzando uno spot che mantenesse la temperatura costante di 25°C, avevo pensato che le formiche, sentendo troppo caldo appunto nei momenti in cui la temperatura di casa era già alta di suo, spostavano gran parte della covata. Ho tentato di risolvere il problema umidificando il nido più del solito, ma tale comportamento persisteva. Ciò che non riesco a spiegarmi è che il tutto non veniva allontanato dalla fonte di calore, ma avvicinato sempre di più!

Purtroppo non ho foto dei primi momenti della loro vita, poiché la regina mi è stata spedita con già quattro operaie. Verso la fine di agosto, un po’ per l’irrequietezza delle operaie, piccole ma energiche, e un po’ per la necessità di cambiare serbatoio d’acqua mi ha indotto ad aprire la provetta in un’arena abbastanza grande. Il primo errore che ho fatto è stato inserire qualche millimetro di terra e umidificarla: la piccola colonia, che aveva raggiunto una ventina di individui, si trasferì subito sotto terra, portando con sé uova e larve. Ho potuto però assistere ad una sessione di scavo durata circa quattro o cinque giorni, il tempo che la terra si asciugasse: un lungo cunicolo collegava due piccole stanze nelle quali erano contenute regina e prole. A settembre la colonia aveva raggiunto le 40 operaie, avendo a disposizione sempre del miele biologico ed offrendo loro una piccola camola quasi ogni giorno. La temperatura si aggirava sui 25°C, forse un po’ di più, visto il caldo torrido manifestatosi l’anno scorso.

Il primo soldato, appena più grande di un’operaia, nacque il 29 ottobre. Fungendo all’inizio esclusivamente da replete, cominciò pian piano a prendersi coraggio e ad attaccare le micro-camole che offrivo. La tecnica di caccia risultava ancora acerba: i soldati si limitavano ad aspettare che la preda venisse immobilizzata dalle più coraggiose operaie, per poi spezzarla in due con un colpo secco di mandibola. Il soldato sfarfallò con esattamente 43 operaie, ma durante la sua fase di pupa già altre due larve di soldato erano presenti nella covata: sfarfallarono rispettivamente il 5 e l’8 novembre. Le operaie continuavano a nascere, poiché decisi di far saltar loro l’ibernazione, un po’ per paura di sottoporle a temperature troppo rigide per questa specie, un po’ per la voglia di vederle crescere il più in fretta possibile.
A causa della loro frenetica voglia di colonizzare qualunque cosa fosse presente in arena, decisi di costruire un piccolo formicaio in gesso adatto alle esigenze di questa piccola ed evasiva specie. Ho optato per un formicaio “variante due” di dimensioni 8 x 8 cm. Ho deciso di mescolare però, in rapporto 1:1, gesso scagliola e cemento bianco, per renderlo più resistente ad eventuali lavori di scavo delle Pheidole. Esso non ha mai dato problemi con la formazione di cristalli, caratteristica tipica del cemento a contatto con l’umidità. Forse a causa della dimensione ridotta del formicaio?
Il 31 gennaio ho lasciato la possibilità di trasferirsi collegando la mia nuova creazione all’arena ed umidificando quest’ultimo: la provetta era infatti a corto d’acqua, ma le formiche non volevano trasferirsi in una nuova. La mattina seguente (e portando a 25°C una facciata del formicaio, poiché, essendo inverno, la temperatura di casa si aggirava sui 20°C) le operaie trascinavano la disidratata regina nel nuovo e umido nido, permettendomi di staccare l’arena ormai sudicia e successivamente accompagnando le operaie più patriottiche che sostavano ancora nella provetta verso la nuova casa.





Alla fine dell’inverno la colonia contava una numerosa prole (dove si potevano scorgere le pupe di altri soldati) e quattro soldati, ma le operaie erano diminuite: dalle 60 raggiunte divennero 30, lasciando la provetta praticamente vuota. Ho ipotizzato due cause per il seguente decesso, entrambe non legate a fattori esterni:
- la vita breve delle operaie delle prime generazioni, le quali non durano più di due o tre mesi;
- il metabolismo della colonia non si era fermato a causa del riscaldamento costante a cui la colonia stessa era sottoposta; (metabolismo più attivo = vita media più breve).
Una foto del 2 febbraio 2012:

A marzo la colonia risultava ancora debole e seppur il bisogno di proteine fosse evidente (vista l’abbondante presenza di larve) le operaie erano intimorite dalle camole, anche se esse erano morte. Esse, in numero minore, continuavano a morire una dopo l’altra. Decisi così di preparare una dieta Bakhtar super proteica, aggiungendo un bicchiere di latte e mettendo due uova al posto di una (gusci compresi): ne uscì un composto che si deteriorava in fretta, ma molto amato dalle formiche.



Ecco la Bahktar super proteica:

Non so se fu per la somministrazione di questa o per altri motivi, ma la colonia riprese a sfornare operaie e soldati come un tempo… Se non con frequenza maggiore! Ben presto il nido si popolò di guerrieri, più di quanti ne avessi ipotizzati: il rapporto 30 operaie : 1 soldato perse la sua validità, e ad aprile la colonia superò abbondantemente il centinaio di individui.






Aumentando di numero, l’arena integrata nel formicaio cominciava a non bastare: sempre più frequenti furono i casi di fuga. Fortunatamente tali casi furono isolati, poiché l’antifuga che tutt’ora uso è molto valido: si tratta dell’olio minerale in vendita su forumis.fr.
Il fabbisogno alimentare aumentava ovviamente con l’aumentare delle operaie, ed oltre al miele biologico (di acacia o di castagno) le Pheidole consumavano una camola della farina al giorno. Curioso notare come preferiscano mangiare in tranquillità nel nido, portandosi l’intera preda nelle camere, per poi dividerla a pezzi e mangiarne il contenuto; al contrario, la colonia di Crematogaster scutellaris preferisce spolpare la vittima direttamente in arena, senza effettivamente “rompere” la camola in pezzi. Proprio dal formicaio di questa specie, situato a fianco di quello della colonia protagonista, alla fine di aprile uscirono una decina di operaie a causa di un’asciugatura inaspettata dell’antifuga. Non molto astutamente, esse finirono nel nido delle Pheidole, dalle quali furono bloccate (non curanti dell’arma chimica delle Crematogaster) e successivamente decapitate.
Nel corso dell’allevamento ho notato due comportamenti interessanti.
Il primo riguarda la funzione di un solo soldato adibita esclusivamente a riserva di cibo costante. A causa della malformazione di un’antenna, ho potuto constatare che sempre lo stesso aspettava, all’entrata del nido, le operaie strepitanti, offrendo loro cibo dal gastro sociale sempre gonfio di cibo. In parecchi mesi di osservazione, egli rimase sempre all’interno del nido, senza quasi mai uscire (salvo per spostarsi da una facciata all’altra del formicaio), quasi fosse trattato come un “reale”. Curioso è il fatto che non sia stato mai sostituito! Mentre gli altri soldati svolgono i loro compiti primari, egli resta sempre all’interno del nido ad oziare: non è raro trovarlo accanto alla regina, la quale mendica un po’ di cibo dal suo addome sempre gonfio.

Il secondo comportamento riguarda invece la prole, che veniva spostata giornalmente (verso le ore più calde) in arena. Utilizzando uno spot che mantenesse la temperatura costante di 25°C, avevo pensato che le formiche, sentendo troppo caldo appunto nei momenti in cui la temperatura di casa era già alta di suo, spostavano gran parte della covata. Ho tentato di risolvere il problema umidificando il nido più del solito, ma tale comportamento persisteva. Ciò che non riesco a spiegarmi è che il tutto non veniva allontanato dalla fonte di calore, ma avvicinato sempre di più!
